LA RESISTENZA: MITO UNIFICANTE
PER GLI ITALIANI?
A SINISTRA
NON SI RINUNZIA MAI ALLA FAZIOSITA’ La guerra, il dopoguerra, e tanti
fatti su cui non si vuole fare chiarezza
Antonio Serena
Nei giorni scorsi Peppino
Zangrando, già esponente dell'Associazione partigiani Anpi bellunese,
è riapparso sulla stampa locale con l'ennesima rivisitazione di
episodi accaduti nel corso della guerra civile.
Capisco la pena e l'intimo
travaglio vissuto dall'avvocato nel continuo apprendere delle tante nefandezze
- fino a ieri taciute in ossequio alle convenienze politiche - compiute,
anche nel Bellunese, dai partigiani comunisti durante e dopo la guerra
civile. Ciò non giustifica però il continuo ricorso a puerili
tentativi di negare l'evidenza storica e tantomeno l'offendere anche sul
piano personale chi dissente dalle sue interpretazioni della storia. Storia
che ha già dato il suo giudizio sul comunismo e su coloro che intendevano
liberare l'Italia dai tedeschi per affidarla alle amorevoli cure degli
infoibatori titini non esitando, per arrivare a ciò, a massacrare
(Porzus insegna) gli stessi partigiani non comunisti
A dimostrazione del
profilo umano di certi personaggi, va ricordato che il suddetto avvocato
dopo aver assunto le difese di galantuomini come Eliseo Dal Pont (reo confesso
di aver ucciso e bruciato a Lamosano nella primavera del '45 una sessantina
di prigionieri di guerra) e dopo aver minacciato di querela il parroco
di Tambre dal Pago, additato al pubblico ludibrio per «l'infelice
iniziativa» dell'erezione di una croce sulla foiba del «Bus
de la Lum», è arrivato a speculare impietosamente persino
sull'assassinio della giovane Nella De Pieri, violentata, resa incinta
e infoibata dai partigiani del Cansiglio, scrivendo: «... la diceria
circa le condizioni della De Pieri ha avuto in D’Alpago qualche successo
durante questi anni, senza che però alcuna possibilità di
verifica si manifestasse... Avvertiamo infine che la legge penale militare
di guerra non prevede alcuna forma di clemenza per il condannato in stato
interessante». (Da: «Protagonisti» n. 36, 9/1989. Titolo:
«Come da un dramma umano la stampa costruisce un mito»).
Nell'ultimo numero
di «Protagonisti» (n. 79) Zangrando scrive che le testimonianze
citate nel mio libro «I giorni di Caino» non sono affidabili
in quanto «contrassegnate da iniziali di fantasia, talché
risulta impossibile la minima verifica». Come più volte chiarito,
la scelta dell'autore è stata motivata dallo scrupolo di evitare
rappresaglie a persone a volte già provate da lutti familiari relativi
ai fatti citati. In caso di necessità, e comunque alla data prevista,
saranno resi pubblici nome, cognome età e residenza di ogni testimone,
unicamente alle testimonianze e registrate. Finora non ce n'è stato
bisogno -in quanto, nonostante siano stati fatti i nomi (per esteso) di
centinaia di responsabili di delitti e stragi, nessuno (il libro è
giunto alla quarta edizione) si è sentito diffamato provvedendo
a sporgere querela.
Il procedimento storico
seguito da Zangrando è invece diverso. Nel suo articolo si fanno
i nomi (per esteso) di presunte «spie dei tedeschi» tutte decedute.
L’unica «spia» citata con le sole iniziali sarebbe tuttora
in vita e pronta ad adire le vie legali. E’ probabilmente questo il motivo
che induce l'avvocato Zangrando a non riprodurre fotograficamente il documento
citato.
Nel tentativo di squalificare ulteriormente
la ricerca storica dello scrivente, Zangrando cita poi una didascalia ad
una foto del fascista Filomino Martinelli mentre viene maltrattato a guerra
finita in piazza Campitello da alcuni partigiani «prima di venir
fucilato». E mi imputa di aver preso un granchio in quanto il Martinelli
non venne fucilato, ma processato e infine assolto. Tutto vero. Con l'unica
variante che il granchio, sempre per la puntuale citazione delle fonti,
proviene nientemeno che dal «Comitato Nazionale per le celebrazioni
del 50' della Resistenza» che nel 1995 ha dato alle stampe il volume
«Le radici e le ali» dove, sotto la foto del Martinelli, si
legge appunto (pag. 552): «La resa dei conti... Martinelli verrà
processato, condannato a morte e fucilato».
In precedenza la pubblicistica
comunista aveva fatto anche di peggio (rivista «Crimen» riprodotta
a pag. 565 de «I Giorni di Caino», quarta edizione), presentando
il Martinelli come un «partigiano garibaldino» strattonato
da un milite fascista prima di venire fucilato.
Riconosco il mio errore
che consiste nell'aver creduto agli storiografi partigiani. Forse è
per evitare che scappino... altri granchi che risulta a tutt'oggi difficile
riuscire ad accedere agli archivi delle sezioni Anpi. Lo storico Pisanò,
tanto bistrattato da Zangrando, citando il caso Martinelli nella sua «Storia
della guerra civile in Italia», mai scrisse che venne fucilato.
Altre affermazioni di Zangrando rasentato
il ridicolo: come l'assassinio del maggiore Da Rin da parte dei partigiani
il 17 maggio del'45, che l'avvocato fa risalire ad «alcuni mesi dopo
la liberazione» ed insistendo sulla fantomatica versione del suicidio,
senza nemmeno preoccuparsi di richiedere un atto di morte al Comune di
Vigo di Cadore; o come l'infantile speculazione su un refuso tipografico
nella prima edizione de «I Giorni di Caino», dove si cita «Ciminighe»
al posto di Cencenighe.
Insomma, scampoli di retorica comunista
che non meriterebbero neppure citazione se non fosse che vengono stampati
e diffusi a spese del contribuente che foraggia senza saperlo fantomatiche
associazioni ed enti (è già successo con i 20 miliardi erogati
per il 50' della resistenza) che non sanno poi giustificare le uscite.
Un argomento, questo, che merita una nuova interrogazione parlamentare
che mi premurerò di.presentare alla prossima riapertura delle Camere.
IL SECOLO D'ITALIA Quotidiano 3 Febbraio 2002